La solitudine degli adolescenti, il dramma della crescita nell’assenza di interlocutori adeguati. Genitori all’epoca repressivi, oggi distrattamente superficiali, istituzione scolastica che non dava e continua a non dare risposte sufficienti e le inevitabili tragiche conseguenze (suicidi gratuiti, esperienze sessuali malate) sono le principali tematiche di Risveglio di Primavera. F.Wedekind, a soli 27 anni, denunciava lo smarrimento adolescenziale di fronte alle prime pulsioni sessuali, alle prorompenti energie vitali che, ignorate o mal tollerate dagli adulti, possono esplodere in direzioni drammatiche. La mia traduzione-adattamento ha avuto come scopo primario la portabilità in scena di un testo altrimenti oggigiorno non rappresentabile (37 personaggi, 19 ambienti diversi). Inoltre, si è prefisso di alleggerire il dramma originale soprattutto dalle sue abbondanti note grottesche spesso forzate, artificiose e bozzettistiche, per concentrare invece l’attenzione sulle vicende dei giovani protagonisti.
Questa operazione sul testo, ha costituito un punto di partenza sul quale sono intervenuto insieme agli attori per assicurare la massima efficacia e resa sul pubblico che per me resta il fine di qualunque messa in scena.
Il linguaggio utilizzato è “alto”, spesso poetico, carico di sospensioni ed accenti enfatici che, se da una parte rendono bene il disorientamento dei giovani protagonisti, dall’altra sembrano voler nascondere od abbellire istinti e pulsioni di cui si ha paura.
E’ stato per me importante cercare di aiutare il più possibile i giovani protagonisti a penetrare questo linguaggio, da loro percepito come vicino, per le tematiche ancora così tragicamente attuali, ma, allo stesso tempo, tremendamente distante per costruzione sintattica e scelta di vocaboli, e a farlo vivere con tutta la forza che possiede.
Per quanto riguarda la messa in scena, la mia prima preoccupazione è stata quella di cercare di rendere fluido e continuo il susseguirsi delle brevi e numerose scene che compongono quest’opera, eliminando la divisione originaria in tre atti, ed evitando il più possibile di inserire il “buio” tra una scena e l’altra.
Ho cercato insomma di creare una sorta di lungo piano sequenza, dove l’azione si svolgesse senza interruzioni, e gli eventi precipitassero inesorabilmente verso il tragico finale.
Per fare questo, già molto tempo prima di cominciare le prove, avevo disegnato un vero e proprio story board di tipo cinematografico dell’intera messa in scena, che ha costituito la base di quella che, grazie alla creatività di Cristina Gaetano, è diventata la scenografia vera e propria dello spettacolo. Insieme, siamo gradualmente arrivati alla definizione di uno spazio scenico allo stesso tempo realistico (costumi, elementi d’arredo e decorativi d’epoca) e fantastico: lo spettatore è come se vedesse attraverso una lente d’ingrandimento la stanza di un bambino lasciato crescere in solitudine e poi abbandonato.
La natura, fuori controllo, proprio come gli impulsi dei giovani protagonisti, si è impadronita di questa stanza, penetrandone il pavimento, sfondando soffitti e pareti.
All’interno di questo ambiente fantastico, i personaggi degli adulti hanno occupato quella che doveva essere una casetta giocattolo del bambino, uno spazio angusto, una gabbia senza vie d’uscita, dove crescono ed educano i loro figli come uccellini in una voliera.
Solo ai giovani è consentito agire negli altri spazi, ma la loro libertà di movimento è solo apparente ed è comunque segnata da un destino tragico: il precipizio inevitabile per chi, pur avendo le ali, non hai mai avuto nessuno che gli insegnasse a volare.